COVID 19 e ACCONTI : SI HA DIRITTO ALLA RESTITUZIONE?

 

Non è possibile fornire una risposta univoca a tale domanda.

Occorre infatti distinguere la tipologia di contratto e/o di servizio in relazione al quale l’acconto – che, come noto, costituisce un’anticipazione del prezzo – è stato versato.

La decretazione governativa – a mente dell’art. 88 del D.L. 17 marzo 2020 n. 18  rubricato  “Rimborso dei contratti di soggiorno e risoluzione dei  contratti  di acquisto di biglietti per spettacoli, musei e altri luoghi della cultura” – ha esteso ai contratti di soggiorno e turismo la disciplina già dettata per i contratti di trasporto – art. 28 del D.L. 02 marzo 2020 n. 9 – lasciando alle strutture ricettive, in alternativa al rimborso delle somme pagate dal cliente per il servizio non goduto a causa delle misure restrittive Covid 19, la possibilità di emettere un voucher da spendere entro un anno dalla sua emissione.

Tale normativa – evidentemente nata dall’esigenza di contemperare i contrapposti interessi delle parti contrattuali – detta una disciplina speciale e derogatoria alle disposizioni del codice civile che, come tale, non è a mio avviso suscettibile di estensione analogica a fattispecie diverse da quelle espressamente previste.

Non condivido pertanto l’opinione di coloro che, ad esempio in tema di c.d. banchetti nuziali, ritengono di poter accordare ai ristoratori l’alternativa sopra enunciata  – tra restituzione delle somme percepite ed emissione di un voucher in favore degli sposi – nel caso in cui le misure di contenimento del Covid 19 si protraggano sino alla data dell’evento.

La particolare natura dell’evento matrimonio (e del relativo ricevimento) – ben diverso da un evento ripetibile e/o rimandabile come un  soggiorno in albergo o la visita ad un museo – non può consentire di “imporre” ai nubendi di rinviare il loro matrimonio, peraltro entro un termine imposto ex lege, dovendosi viceversa consentire loro di accedere alla tutela dettata in caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione, con conseguente diritto alla restituzione di quanto corrisposto a seguito dello scioglimento del contratto.

Ciò, ritengo, non soltanto qualora, alla data del matrimonio, siano in vigore le attuali misure restrittive – che determinerebbero l’impossibilità assoluta della prestazione dei ristoratori, stante la vigente chiusura dei ristoranti – ma anche nell’ipotesi in cui un eventuale “ammorbidimento” di dette misure, rendesse comunque parzialmente impossibile la prestazione. Si pensi alle ipotesi in cui, riaperti i ristoranti, venissero comunque prorogate le misure di distanziamento sociale e/o l’obbligo di indossare dispositivi di protezione oppure venisse mantenuto un divieto di spostamento ancorché da regione a regione, o, ancora, venisse mantenuto, limitatamente a particolari categorie di persone c.d. “deboli” (ad esempio over 65 o soggetti con determinate patologie pregresse) il divieto di uscire di casa.

A mio avviso, anche in tali casi, gli sposi potrebbero ottenere lo scioglimento del contratto – e la restituzione di quanto versato – non avendo un interesse apprezzabile a ricevere una prestazione solo parziale, quale sarebbe un ricevimento emotivamente condizionato dal rispetto delle distanze sociali o numericamente falcidiato dalle assenze di invitati rientranti in potenziali categorie protette – magari i nonni o persino i genitori degli sposi –  o residenti in regione diversa dalla sede dell’evento.

 

Avv. Andrea Santini