Registrazione e diffusione di video e foto: quando scatta il reato?
Oggi, nell’era dei social media, non esiste persona che non utilizzi la tecnologia informatica, poiché tutti sono in possesso di uno smartphone, di un tablet o di un computer.
Chiunque possieda uno di questi strumenti tecnologici spesso non ha però la contezza dei possibili risvolti che possono discendere dal loro utilizzo, perché, se da una parte tali dispositivi hanno sicuramente migliorato lo stile di vita delle persone, dall’altra hanno determinato anche l’aumento degli illeciti penali consumabili.
Si può scattare foto o filmare degli sconosciuti? Possono essere riprese scene di vita quotidiana di altri individui in luoghi pubblici oppure privati, come ad esempio nelle loro abitazioni o nei luoghi di lavoro? Possono essere diffuse nei social network le immagini visive o sonore di terzi? Si può registrare una conversazione tra più persone?
La differenza tra registrazione e intercetazione
Prima di tutto è doveroso evidenziare la differenza tra registrazione e intercettazione: la legge consente alle persone solamente di registrare una conversazione tra più persone purché, chi registra, sia presente per tutta la durata del colloquio, poiché, in caso di sua assenza, si parla di intercettazione che invece è vietata (è consentita solamente all’Autorità giudiziaria per l’accertamento dei reati).
Pertanto, se una persona intende procurarsi, ad esempio, una confessione di un debito, la prova di un tradimento o quant’altro, la medesima dovrà necessariamente essere presente al momento della registrazione, altrimenti scatta il reato previsto dall’art. 617 bis c.p. (Installazione di apparecchiature atte ad intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche) che prevede la reclusione da uno a quattro anni per colui che “installa apparati, strumenti, parti di apparati o di strumenti al fine di intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche tra altre persone”.
Premesso ciò, è possibile scattare una foto o riprendere persone sconosciute in un luogo all’aperto o pubblico?
Il Legislatore ha previsto nel codice penale, all’art. 615 bis c.p., il reato di “interferenze illecite nella vita privata”, che diventa la linea di demarcazione tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, prevedendo che “chiunque mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell’articolo 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Alla stessa pena soggiace, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chi rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, le notizie o le immagini ottenute nei modi indicati nella prima parte di questo articolo”.
Si evince quindi che è consentito scattare foto o filmare altre persone se la ripresa visiva o sonora è fatta in un luogo pubblico e se non viene diffusa.
L’art. 615 bis c.p. prevede, infatti, due distinte fattispecie criminose: l’indiscrezione e la divulgazione dei dati e delle informazioni captate illecitamente.
Il primo aspetto che prevede la norma riguarda il luogo ove poter registrare: per evitare di incorrere in responsabilità penali, le riproduzioni visive o sonore dovranno essere effettuate necessariamente al di fuori dei luoghi di privata dimora altrui.
L’indiscrezione domiciliare di cui all’art. 615 bis c.p. consiste quindi nel procacciamento indebito di notizie e/o di immagini riguardanti la vita privata, cioè di tutte quelle azioni che si svolgono all’interno dell’abitazione, della privata dimora e delle pertinenze di essa; tale procacciamento, oggi, avviene spesso mediante l’utilizzo degli smartphones.
Ma cosa si intende per privata dimora?
Il significato del termine “luogo di privata dimora” è stato oggetto di vari interventi giurisprudenziali.
Secondo un’interpretazione della Corte Suprema, per luogo di privata dimora si intende quel luogo ove è ammessa l‘esclusione al pubblico, con possibilità di svolgere attività al riparo da interferenze esterne. Pertanto, tale nozione è ampia tanto che è possibile farvi rientrare anche quei luoghi ove il soggetto svolge attività lavorative, ricreative, politiche, culturali, religiose nelle quali si estrinseca la sua personalità.
La ratio quindi dell’art. 615 bis c.p. poggia sulla convinzione che privata dimora e domicilio sono termini correlativi, con l’evidente conseguenza che, affinché si realizzi il reato di interferenze illecite nella vita privata è necessario “l’uso di apparecchiature in grado di cagionare quella medesima offesa alla vita privata arrecata dalla cognizione diretta di notizie o immagini da parte di un estraneo che si trovi fisicamente nel domicilio” escludendosi, pertanto, che “la percezione di alcune notizie o immagini mediata dall’utilizzo di strumenti di ripresa possa essere sottoposta a pena laddove la loro percezione diretta sia invece lecita” (Cass. penale, sez. V, 26.11.2008, n. 44156).
Lo storico delle sentenze
La Suprema Corte di Cassazione è arrivata a sostenere che sulla nozione di domicilio e su quella di privata dimora non vi sono indicazioni univoche.
Infatti, in alcune decisioni si fa riferimento prevalentemente al concetto di utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (ad esempio, il lavoro, il riposo, lo studio, lo svago…), mentre in altre pronunce si pone l’accento sul carattere esclusivo (ius excludendi) e sulla difesa della riservatezza.
Anche la Corte Costituzionale è intervenuta a riguardo, ponendo l’accento sul concetto di “domicilio”, indicandolo: “[…]come diritto di ammettere o escludere altre persone da determinati luoghi, in cui si svolge la vita intima di ciascun individuo, e come diritto alla riservatezza su quanto si compie nei medesimi luoghi” (Corte Costituzionale 05.05.2008, n. 149).
La Suprema Corte ha evidenziato che “nel caso delle riprese visive, il limite costituzionale del rispetto dell’inviolabilità del domicilio viene in rilievo precipuamente sotto il secondo aspetto: ossia […] come presidio di una intangibile sfera di riservatezza, che può essere lesa – attraverso l’uso di strumenti tecnici – anche senza la necessità di un’intrusione fisica […]” (Cass. penale, sez. V, 26.11.2008, n. 44156).
A fronte di quanto detto, ci si può interrogare se l’autovettura possa essere considerata un luogo di privata dimora e, di conseguenza, se sia ivi possibile registrare senza incorrere in un illecito penale.
Secondo una sentenza della Cassazione del 2014 (in tema di intercettazioni): “le intercettazioni tra presenti captate all’interno di un’autovettura sono validamente utilizzabili, eccetto che il veicolo, sin dall’origine, sia utilizzato oppure destinato ad uso di privata abitazione. Dunque, non sussiste il divieto di utilizzazione di cui all’art. 271 c.p.p. di una conversazione registrata nell’abitacolo di un’automobile che funge da normale mezzo di trasporto di persone od oggetti” (Cass. penale, sez. V, sentenza n. 45512/14).
Tale principio permette di sostenere che l’autovettura non può essere considerata a priori un luogo di privata dimora ma ciò va valutato caso per caso. Pertanto, a seconda della sua destinazione, può essere integrato o meno il reato ex art. 615 bis c.p.
Ne deriva inoltre, che ove una determinata azione, che pur si svolge in luoghi di privata dimora, possa essere liberamente osservata da terzi senza ricorrere a particolari accorgimenti, il titolare del domicilio non potrà legittimamente invocare alcuna lesione dei diritti inviolabili sanciti dagli articoli 2 e 14 (libertà domiciliare) della Carta Costituzionale. Quindi, nell’ipotesi di videoriprese concernenti immagini o comportamenti avvenuti in luoghi di pertinenza dell’abitazione di determinati soggetti, ma non protetti dalla vista degli estranei, non può ritenersi ipotizzabile un’intrusione nella privata dimora per l’assenza di qualsivoglia protezione dallo sguardo altrui.
Ad esempio, una recente sentenza della Cassazione ha ritenuto non sussistente il reato in oggetto nell’ipotesi di un soggetto che si era procurato fotografie, dal tenore molto spinto, di una signora intenta ad uscire dalla doccia della propria abitazione sprovvista di tende alle finestre, poiché tale condotta è stata posta in essere senza contrastare o eludere, clandestinamente o con inganno, la volontà di chi abbia il diritto di escludere dal luogo l’autore delle riprese (Cass. penale, sez. III, 08.01.2019, n. 372).
Altro caso nel quale non si è ritenuto applicabile la fattispecie in esame è quello della domestica che, lavorando “in nero”, aveva ripreso la casa dei propri datori di lavoro al fine di provare in giudizio la propria attività lavorativa (Cass. penale n. 46158 del 2019).
Viceversa, il datore di lavoro che, all’insaputa del dipendente, registra le comunicazioni e/o riprende quest’ultimo, potrebbe incorrere nel delitto di interferenze illecite nella vita privata e non in una mera violazione dello Statuto dei Lavoratori.
Il secondo comma dell’art. 615 bis c.p. sanziona, invece, la condotta di chi divulga informazioni ottenute secondo i modi e nei limiti previsti dal primo comma. Più precisamente, la condotta di divulgazione deve essere di rivelazione, ossia la notizia deve essere portata a conoscenza di soggetti terzi, oppure di diffusione, ossia deve essere comunicata ad un numero indeterminato di destinatari attraverso qualsiasi mezzo di diffusione.
Quindi è possibile affermare che sono vietate le diffusioni di segmenti di vita privata svolgentesi all’interno di luoghi di privata dimora.
Al di fuori della privata dimora però è necessario stare molto attenti, atteso che è comunque vietato pubblicare o diffondere video o file audio senza il consenso della persona, poiché ciò determina una violazione del diritto alla privacy, salvo che la pubblicazione non riguardi una persona nota o famosa (ad es. politico, attore, cantante) in avvenimenti di interesse pubblico o svoltisi in pubblico.
È successo a molti di voler mettere un video sui social media, ma è necessario sapere che le persone ritratte nel proprio video devono aver acconsentito alla pubblicazione dello stesso, altrimenti si potrebbe incorrere nella violazione del diritto alla privacy e, in assenza del consenso della persona lesa, questa potrebbe sempre richiedere di essere risarcita per il danno subito. Quest’ultima ha diritto, infatti, al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali (come ad es. il danno morale causato per la vergogna, l’angoscia etc.) subiti a seguito della diffusione o pubblicazione dell’immagine o del video.
Cosa dice il codice della privacy?
Il Codice della privacy (D.lgs. del 30.06.2003 n. 196) sanziona, all’art. 167, il trattamento illecito dei dati personali avvenuto attraverso la pubblicazione non autorizzata di immagini o notizie sul web, con la reclusione da sei mesi a un anno e sei mesi se recano nocumento all’interessato, reclusione che però aumenta da uno a tre anni se riguardano i dati sensibili.
Infine, fuori dai casi previsti dal secondo comma dell’art. 615 bis c.p., qualora la foto o il video fossero lesivi della reputazione della persona ripresa o interferiscano con la vita privata del soggetto, colui che li rende pubblici potrebbe incorrere nel reato di diffusione di riprese e registrazioni fraudolente, disciplinato dall’art. 617 septies c.p., che punisce con la reclusione fino a quattro anni “chiunque, al fine di recare danno all’altrui reputazione o immagine, diffonde con qualsiasi mezzo riprese audio o video, compiute fraudolentemente, di incontri privati o registrazioni, pur esse fraudolente, di conversazioni, anche telefoniche o telematiche, svolte in sua presenza o con la sua partecipazione”.
In conclusione, la correlazione tra l’utilizzo dello smartphone e la commissione di un illecito penalmente rilevante è molto più stretta di quanto ciascuno potrebbe pensare; pertanto, è necessario prestare molta attenzione alle modalità di utilizzo degli strumenti tecnologici, che possono presentare insidie in termini di responsabilità penali nonché risarcitorie.
Avv. Giacomo Chiuchini