Degli illeciti tributari risponde sempre e solo la società o anche l’amministratore?
E’ noto che, a seguito dell’introduzione dell’articolo 7 D.L. n. 269/2003 (la quale norma recita “le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica, sono esclusivamente a carico della persona giuridica” e perciò “nei casi di cui al presente articolo le disposizioni del decreto legislativo 18 dicembre 1997 n. 472“, si applicano solo “in quanto compatibili”) la responsabilità amministrativa connessa all’accertamento di illeciti tributari a carico di persone giuridiche, siano essi relativi a fattispecie di evasione o elusione fiscale, resta esclusivamente in capo alla società e non anche a chi legalmente la rappresenta.
Le responsabilità del titolare del rapporto tributario
Tale scelta normativa vede il proprio presupposto nella responsabilizzazione del solo “titolare del rapporto tributario, con esclusione della responsabilità a titolo concorsuale delle persone fisiche” e quindi di colui che è l’effettivo destinatario dell’avviso di accertamento o atti similari, con ciò delineandosi uno scenario ben preciso nel mondo delle imprese, laddove l’amministratore di una società, sia essa di persone o di capitali (in ciò nulla distinguendosi le due tipologie partecipative) deve normalmente poter contare sulla neutralizzazione degli effetti negativi che, in conseguenza di un’attività accertativa dell’Amministrazione finanziaria e quindi di una ripresa fiscale, si potrebbero produrre sul suo personale patrimonio.
Le Eccezioni
La regola, come sempre, soffre però di talune eccezioni ed infatti è bene ricordare che nel nostro sistema sanzionatorio tributario esiste una norma, ovvero l’art. ex art. 9 d.lgs. n. 472 del 1997, secondo la quale sono sanzionabili i concorrenti esterni rispetto alla violazione tributaria commessa da soggetti privi di personalità giuridica (per tutte, cfr. la recentissima sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 9448/2020).
E’ bene altresì ricordare che la stessa giurisprudenza di legittimità ha ritagliato un residuale ed eccezionale spazio applicativo di responsabilità concorrente con quella della persona giuridica anche alla persona fisica che agisce per conto dell’ente in rapporto di immedesimazione organica laddove questi abbia agito nel proprio esclusivo e personale interesse.
Quali sono le ipotesi in cui può trovare applicazione una deroga alla regola generale?
Le ipotesi nelle quali, ad avviso della giurisprudenza maggioritaria, trova applicazione una deroga alla regola generale dell’esclusiva responsabilità tributaria dell’ente e, quindi, entra in gioco la responsabilità personale dell’autore della violazione, sono quelle in cui la condotta illecita sia stata posta in essere nell’interesse esclusivamente proprio, perché in tal caso la persona fisica si assume aver agito non nell’interesse della società e secondo le regole del mandato conferito, ma per perseguire una finalità diversa o comunque estranea a quella della piena attuazione dell’oggetto sociale (Cass. 09/05/2019, n. 12334).
Ancora, altre ipotesi a ciò riconducibili sono state individuate nella costruzione artificiosa di una società per fini illeciti e personali, poiché in tal caso la persona giuridica è una mera finzione o “scatola vuota” creata nell’interesse della persona fisica, esclusiva beneficiaria delle singole azioni e pertanto necessariamente responsabile delle relative violazioni, non essendovi alcuna differenza fra trasgressore e contribuente (Cass. 18/04/2019, n. 10975; cfr. altresì, in motivazione, Cass. 08/03/2017, n. 5924 e Cass. 28/08/2013, n. 19716). Secondo la casistica riscontrata, una prova in tal senso può essere sostituita dal fatto che pagamenti siano disposti in favore dell’amministratore nei propri conti personali.
Non solo, ma anche la figura dell’amministratore di fatto rientra nel novero dei soggetti responsabili dei debiti tributari ove venga dimostrato, anche in assenza di una formale carica gestionale, il suo ruolo effettivo all’interno della società: in tal senso si è espressa recentemente la Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, con sentenza n. 7710 del 12.11.2020, ove si è concluso che la riferibilità esclusiva alle persone giuridiche, introdotta dall’art. 7 del D.L. n. 269 del 2003, operi solo quando la separazione tra società e soci sia effettiva, mentre non può ritenersi applicabile ai casi di frapposizione di un finto schermo tra la persona fisica e giuridica che si ha appunto quando la società sia stata costituita al solo fine di evadere le imposte (nella specie IVA). “Delle conseguenze sul piano tributario risponde in proprio – come autore e ideatore – l’amministratore di fatto della società costituita al solo scopo fraudolento di evadere l’iva. Non può, infatti, trovare applicazione l’articolo 7 del D.L. n. 269 del 2003, in base al quale, le sanzioni amministrative, relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica, sono esclusivamente a carico della persona giuridica (cfr. Cass. 28.8.2013, n. 19716). In sostanza, la reviviscenza di una responsabilità del singolo si ha laddove la società sia stata fittiziamente costituita come mero schermo per coprire attività in realtà svolte dal singolo o laddove sia raggiunta la prova, che dovrebbe restare a carico dell’Amministrazione finanziaria, della esclusiva finalità personale perseguita con l’operazione.”. E la prova, nello specifico, può essere costituita dall’aver rivestito un ruolo effettivamente gestorio.
La particolare figura della srl uni personale : le pronunce a SS UU del 2019
Alla luce delle considerazioni appena svolte, a parere di chi scrive occorre prestare una particolare attenzione alla tematica, a volte sottovalutata nella prassi operativa, relativa alla costituzione di società a responsabilità limitata unipersonali.
Ciò in quanto recentemente le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass., ord. nn. 12334 e 12335 del 09.05.2019)si sono pronunciate proprio nella subiecta materia, avallando la tesi dell’Amministrazione finanziaria in merito alla responsabilità tributaria della persona fisica che rivesta la qualifica di socio unico ed amministratore unico della società.
Il ragionamento sotteso alle conclusioni cui è pervenuta la Corte muove dalla considerazione che l’applicazione della norma di eccezione, ovvero quella citata in apertura di cui all’art. 7 d.lgs. 269/03, presuppone che la persona fisica, autrice della violazione, abbia agito nell’interesse e a beneficio della società rappresentata o amministrata. Pertanto, solo in presenza di tale condizione è giustificato il fatto che la sanzione pecuniaria -in deroga al principio personalistico di stampo penalistico- non colpisca l’autore materiale della violazione ma sia posta in via esclusiva a carico della società. Di converso, nell’ipotesi in cui il vantaggio effettivo delle violazioni possa individuarsi in capo alla persona fisica che abbia materialmente agito, nel caso di società unipersonale, ove l’amministratore è anche socio unico, rende particolarmente agevole la prova di tale compartecipazione tra persona e società e come tale comporta la disapplicazione della norma di cui all’art. 7 del D.L.n. 269/2003 citato, ripristinando la disciplina generale prevista nel testo unico che regola le sanzioni tributarie (articolo 2, comma 2, del D.lgs n. 472/1997), secondo cui la sanzione è riferibile alla persona fisica che ha commesso o concorso a commettere la violazione.
Pertanto, non sempre la costituzione di una società a responsabilità limitata, nella forma di srl unipersonale, ha l’effetto auspicato di “schermare” ai fini fiscali il patrimonio dell’individuo ed occorre prestare particolare attenzione ad evitare una commistione patrimoniale o finanziaria, che costituirebbero indizi certi, nel caso di una verifica fiscale, di riferibilità dell’attività sociale al singolo. La conseguenza sarebbe che dei debiti tributari a titolo -quantomeno- di sanzioni e sempre fatta salva l’applicazione della disciplina sull’interposizione fittizia nel possesso del reddito, andrebbero a colpire i beni personali del socio-amministratore. In tal senso si è pronunciata anche la Commissione Tributaria Regionale di Firenze con sentenza emessa dalla sez. VIII, 03/07/2019, (ud. 01/07/2019, dep. 03/07/2019), n.1086.
Alcune opportune precisazioni
Si ribadisce che quanto sopra argomentato riguarda unicamente la sfera delle sanzioni tributarie, in quanto civilisticamente restano fermi in linea generale gli istituti dell’autonomia patrimoniale e della distinta personalità giuridica della società di capitali, quand’anche unipersonale, rispetto ai suoi soci e ai suoi amministratori, ai quali non è riferibile il patrimonio intestato alla compagine. Come ha ricordato anche recentissimamente il Supremo Collegio “il nostro ordinamento non ammette neppure la simulazione della società, la quale, una volta che sia costituita, agisce e vive nell’ordinamento indipendentemente dallo scopo per il quale è stata costituita (v. Cass. 29700/2019, Cass. 22560/2015). Nel caso sottoposto al vaglio della Corte, ad esempio, la controversia aveva ad oggetto la qualificabilità come “debitore”, al quale restava preclusa la partecipazione all’asta fallimentare, di un socio unico della controllante tanto della fallita quanto dell’aggiudicataria. Ebbene, la Corte con sentenza n. 2280 del 02.02.2021 ha statuito che la mera coincidenza nella stessa persona della qualità di socio unico della fallita e di socio unico dell’aggiudicataria non possono consentire di ritenere tale soggetto tecnicamente quale “debitore” al quale è preclusa la partecipazione alla procedura competitiva in sede fallimentare, avendo giudicato il collegamento societario non sufficiente a dimostrare l’esistenza di un disegno preordinato o di un programma teso all’elusione di norme imperative e a danneggiare il ceto creditorio delle varie compagini sociali. Come a dire: ricomprare i propri beni all’asta fallimentare, si può? con qualche accortezza e purché non in danno della massa dei creditori.